IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  in  ordine  alla  questione
 sollevata   da   taluno   dei   difensori   circa  l'incompatibilita'
 dell'intero collegio ai sensi dell'art. 34 c.p.p. a  giudicare  degli
 imputati  residui  dopo  la  sentenza  di applicazione della pena nei
 confronti  di  molti  altri, alla luce della sentenza n. 371/96 della
 Corte costituzionale.
                     Osserva in fatto e in diritto
   La recentissima sentenza  n.  371  della  Corte  costituzionale  ha
 dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 34 c.p.v. del
 c.p.p. nella parte in cui non prevede che non  possa  partecipare  al
 giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia concorso a
 pronunciare  una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti,
 nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua
 responsabilita' sia gia' stata comunque valutata.
   La decisione, innovando profondamente in una tematica che  sembrava
 non  lasciare  adito  a dubbi, deve esattamente essere compresa nella
 sua portata.
   Dalla lettura della motivazione  si  apprende  che  la  Corte,  nel
 dichiarare  la  nuova  causa d'incompatibilita', ha preso le mosse da
 una fattispecie di concorso necessario di persone  le  cui  posizioni
 sono state decise in esito a dibattimento limitatamente ad alcuni dei
 soggetti  chiamati a rispondere del reato; non ha avuto modo la Corte
 di esaminare il caso in cui nel medesimo processo  sia  stata  emessa
 sentenza  di applicazione pena nei confronti di alcuno dei coimputati
 di reato a concorso necessario, ipotesi che appare a questo tribunale
 non chiaramente coincidente con quella presa in esame nella decisione
 n. 371. Vero e'  che  nella  parte  motiva  viene  precisato  che  il
 pregiudizio  si  avrebbe  sia  nel  caso  in cui sia stata effettuata
 approfondita valutazione delle prove a carico del terzo, sia nel caso
 in cui la deliberazione di merito  sia  stata  solo  "superficiale  e
 sommaria";  tuttavia  il  decisum, necessariamente valutato alla luce
 della  motivazione  a  causa  della   sua   genericita',   non   pare
 ricomprendere  l'ipotesi  in  cui  la  posizione  del terzo sia stata
 incidentalmente valutata allo stato degli  atti  e  con  giudizio  in
 chiave  essenzialmente  negativa  ai  sensi  dell'art.  129 c.p.p. La
 valutazione  che  il  giudizio  fa  nell'ambito  della  sentenza   di
 applicazione  pena e' infatti non solo formale, ma di contenuto circa
 l'idoneita' delle risultanze delle indagini preliminari a fondare  un
 giudizio  di  responsabilita', come la stessa Corte costituzionale ha
 avuto modo di precisare nelle sue decisioni n. 313 del 1990 e 124 del
 1992.
   La questione e' rilevante nel  caso  di  specie  caratterizzato  da
 reati  a  concorso  necessario, dovendo il tribunale ancora giudicare
 gli imputati Annibaldi per corruzione e Annibaldi medesimo con Paoli,
 Pera, Alloni e Garrone per turbata liberta'  degli  incanti  mediante
 collusione, avendo gia' pronunciato sentenza di applicazione pena nei
 confronti degli altri concorrenti.
   Appare  pertanto  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita' dell'art. 34 c.p.v. del c.p.p. nella parte  in  cui  non
 prevede  che  non  possa esercitare la funzione di giudice quello che
 abbia  concorso  ad  emettere  sentenza  di  applicazione  pena   nei
 confronti del concorrente necessario.
   I  parametri costituzionali che si assumono violati sono gli stessi
 gia'  evidenziati  nella  sentenza  n.  371.  Il  tribunale   ritiene
 vulnerabili  gli  artt.  3,  comma  primo, e 24, comma secondo, della
 Costituzione, per violazione del principio di parita' di  trattamento
 in situazioni identiche e lesione del diritto di difesa.